Da qualche anno il teatro di figura
incontra sempre più spesso la danza. Il brasiliano Duda Paiva
(che lo scorso anno avevamo visto in “Bastard!”) è forse colui
che ha reso più celebre e meglio ha interpretato il legame tra
queste due arti le quali sembrano, più di altre, affini. Il pupazzo,
l'ombra, il burattino sono corpi (o riflessi di corpi) altri, nuovi,
che possono fare ciò che neanche un danzatore allenato e flessibile
può fare. Gli oggetti aggiungono magia e proiettano il danzatore in
dimensioni fantastiche, si stirano, si restringono, si accartocciano,
perdono pezzi e tornano sempre insieme. Ma hanno bisogno
dell'intervento di un animatore che gli dia vita, ritmo, musica.
Lo spettacolo “Antigone” della
Nicole Beutler e Ulrike Quaid Company presentato a Milano
fonde la tragedia classica, la danza contemporanea e il bunraku in
una rilettura asciutta e moderna di una storia che -come tutti i
classici greci- è archetipo delle vicende umane e quindi sempre
valida.
Lo spazio è nero, senza scenografia,
in esso si muovono tre danzatori/animatori insieme a tre pupazzi
bunraku. Questi ultimi rappresentano Antigone, sua sorella Ismene e
il fratello Polinice. Tutti gli altri personaggi, il coro, re
Creonte, suo figlio Emone e il cadavere di Polinice sono interpretati
dagli animatori, i quali rappresentano anche un' identità astratta
-identificabile con gli dei- che domina (anima) i pupazzi, e
controlla le loro azioni.
La danza esprime su un piano astratto
le emozioni e i sentimenti, mentre gli avvenimenti sono agiti dai
burattini. In questo scollamento sta forse il punto debole dello
spettacolo, in cui non c'è una reale fusione dei due medium
espressivi. Infatti a parte poche scene -come ad esempio la lunga
sequenza d'apertura con la morte di Polinice- l'utilizzo dei pur bellissimi bunraku
non appare funzionale alla narrazione. I pupazzi vengono usati come
esseri umani in miniatura e si muovono insieme e allo stesso livello
spaziale dei danzatori. Non viene sfruttata proprio la caratteristica
fantasmagorica di questi corpi che tutto possono, tranne essere come
gli uomini. Gli animatori danno perfino voce ai singhiozzi e ai
bisbigli quando non ce ne sarebbe alcun bisogno, perchè l'azione è
sufficiente alla rappresentazione. Ci si chiede il perchè della
scelta di un pupazzo che fa della lentezza e di un movimento
estremamente studiato e “rituale” il suo mezzo espressivo
primario in una produzione di danza contemporanea, in cui lo spazio è
molto più ampio e libero, i ritmi convulsi. Al posto dei bunraku
forse si sarebbero potuti usare pupazzi più grandi, liberi da questa
ritualità e più adatti ad assecondare la coreografia. Peccato, perche parti
danzate sono davvero molto belle e si abbinano bene alle musiche. I costumi invece lasciano un pò a desiderare: i danzatori (ad eccezione
dell'animatrice di Antigone) sembrano venuti in teatro con i loro
vestiti di tutti i giorni che non si adattano all'animazione anche se
sono perfettamente accettabili nella danza. Si tratta di un piccolo
particolare che rivela come in questa produzione la fusione delle due
forme teatrali sia purtroppo incompiuta. Ultimo appunto, purtroppo
negativo: la coda dello spettacolo che vede Ismene filosofeggiare col
pubblico mentre si fuma una sigaretta, un intervento a mio parere
inutile e didascalico.
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